L’intervista qui pubblicata è stata realizzata nell’estate del 2023 ed è parte del libro d’artista pubblicato in occasione di “Tails” mostra di Valentina Vetturi promossa dallo Spazio Murat Bari, a cura di Silvia Franceschini.
Silvia Franceschini Il mare come connettore di sponde, i cavi come connettori fisici di legami virtuali e un’immagine generata da un sistema di Intelligenza artificiale sono gli elementi principali della mostra Tails. Come hai concepito i diversi livelli di questa mostra e in che modo dalla sua geografia fai emergere una riflessione sullo spazio specifico della galleria e allo stesso tempo sullo spazio virtuale?
Valentina Vetturi All’inizio del 2023 la stima dei cavi sottomarini che utilizzano la tecnologia a fibre ottiche è di circa 552 per una lunghezza complessiva di 1.4 milioni di chilometri. Se tutti i cavi che permettono le nostre connessioni raggiungessero la superficie e affiorassero in uno spazio chiuso, cosa vedremmo? Faremmo esperienza di una danza di cavi, una danza fra i cavi che permettono le nostre vite digitali.
Tails nasce con queste premesse.
È una emersione che ci permette di visualizzare in scala 1:2000 la materialità dell’infrastruttura globale del web, una tra le più grandi mai realizzate dall’uomo che consente ai cloud di esistere, ai dati di circolare, agli algoritmi di lavorare. È una emersione randomica, ho scelto infatti di disegnare la pianta della scultura in cartapesta usando un software, Open AI, di “agency without intelligence”, secondo la definizione di intelligenza artificiale di Luciano Floridi.
È un dialogo stretto con l’architettura dello Spazio Murat, la scultura infatti si ramifica orizzontalmente al suo interno annullando il corridoio che separa la zona espositiva dal muro più antico della città e allo stesso tempo creando un vuoto, un camminamento lungo la parete opposta a questo muro.
È un dialogo con il mare che si affaccia a pochi metri dalla galleria.
È una visualizzazione del web, i tubi infatti compongono una rete decentralizzata nello spazio, e ancora una raffigurazione di una blockchain per via dei nodi in cui i cavi si aggregano nello spazio e per la randomicità di questo paesaggio.
Mi auguro poi di scoprire altre letture di quest’opera attraverso gli sguardi delle persone che la attraverseranno.
Tails infine emerge da una ricerca sulla cultura digitale e sulla digitalizzazione delle nostre vite cominciata nel 2015 quando per la prima volta ho messo piede in un hackerspace a Bruxelles. Da lì è cominciata una deriva, un attraversamento dei mondi e della cultura della rete che mi ha portata oggi a guardare alla spina dorsale di questo sistema.
SF “Enough faith in humanity to believe that civilization won’t collapse”. “You have no chance for freedom at all.” Queste sono due tra le frasi che risuonano qui all’interno dello spazio sonoro immersivo che avvolge l’installazione. Puoi guidarci attraverso quello che definisci “un paesaggio performativo”?
VV Provo a condurvi in questo percorso. Un ronzio subacqueo introduce il lavoro. Dopo che l’assistentə di sala invita il pubblico a spegnere la connessione dati del telefono cellulare, si accede allo spazio attraverso un varco in una parete bianca. Allo sguardo si staglia un paesaggio di tubi neri segnati da sottili geometrie giallo fluo. I tubi compongono una danza, sono stratificati, si arrampicano uno sull’altro, si ricorrono, rendono difficile il passaggio. A sinistra, le finestre sono oscurate da tende. Il sole filtra dai bordi e dal lucernario che illumina il muro in pietra sul lato opposto della sala. Tra le fila di questo panorama, i tubi, in alcuni punti, si addensano quasi in un nodo e si dilatano trasformandosi in rotondità, possibili sedute per i naviganti invitati a sostare e sentire. Il paesaggio si estende lungo il pavimento, è rizomatico.
Le frasi che hai citato sono alcune tra quelle che risuonano a cadenza irregolare e dilatata nello spazio. Sono frammenti estratti da un materiale cui attingo, che rielaboro e trasformo dal 2016 un libro che ho dedicato alla Cypherpunk Mailinglist (1991/2000 ca), uno dei primi e più importanti forum del web. In questo paesaggio composto da tubi optical le voci che pronunciano questi frammenti si fondono con il suono di uno sciame di api e raggiungono il pubblico navigante di volta in volta da una delle otto casse sonore diffuse tra la cartapesta.
La cartapesta è un’altra scelta cruciale in questo lavoro. Un materiale completamente analogico, sostenibile, fatto di carta, acqua e farina, e che ha la proprietà di asciugarsi in una forma e perderne la memoria se immersa nell’acqua. E così che l’infrastruttura sottomarina che permette la creazione di memorie permanenti digitali dialoga con la fragile temporaneità della (memoria) della cartapesta.
La mia ricerca sul linguaggio della performance si declina anche nella possibilità di creare ambienti esperienziali, in cui è l’interazione tra gli elementi che li compongono e con il pubblico a generare improvvisazione.
SF Nel suo libro Inferno Artificiale Guillaume Pitron descrive la dimensione digitale che sta contribuendo a distruggere la sussistenza in quella reale. Ogni nostro like sui social crea CO2, viaggiando per tutto il pianeta. Come percepisci la nozione di inquinamento in relazione alla progressiva digitalizzazione delle nostre vite e come questo si materializza nel tuo lavoro?
VV
Non credo sia necessario demonizzare la tecnologia o il web, sono delle incredibili risorse. Guillaume Pitron apre il suo libro, che è stato fonte di ispirazione per questo lavoro, con una citazione di Hawkings: “Il nostro futuro è una gara tra il crescente potere della tecnologia e la saggezza con cui la usiamo.”
L’inquinamento ha molte facce, mi preoccupa sia quello materiale che citi e che Pitron descrive con dovizia e acume nel suo reportage, che quello più impalpabile che un uso distorto del digitale produce nei nostri pensieri, nelle forme di dipendenza che può generare, così come nelle forme di controllo cui siamo sottoposti da parte di governi e aziende private, i cosiddetti GAFAS. La serie di lavori dedicati al digitale che sviluppo da molti anni si rapporta e dialoga con un pensiero che potremmo definire di ecosofia digitale. Ho scoperto dell’esistenza di Tails, un software che se installato sui nostri dispositivi consente di cancellare ogni traccia delle attività fatte ad ogni log-off, leggendo Permanent Record di Edward Snowden. In uno dei passaggi più interessanti di questo libro l’autore sottolinea quanto sia cruciale conoscere cosa sono e come funzionano le tecnologie. Solo questo tipo di consapevolezza può emanciparci dalla condizione di subalternità in cui la tecnologia ci pone quando è opaca. E solo con questo tipo di consapevolezza possiamo hackerare e mettere quotidianamente in discussione le modalità in cui abitiamo il pianeta e il web.